L’ultimo giorno di scuola di tre anni fa non potrò più dimenticarlo.
Eravamo nati da appena nove mesi – giusto il tempo di venire al mondo – ma erano stati nove mesi d’amore.
Una scuola grandissima occupata da una sola classe di appena otto alunni.
Una scuola così vuota che ci preoccupavamo di riempire in ogni modo possibile con colori, disegni, progetti, studio, esperimenti e risate, tante risate, che alla fine sono la cosa migliore, per riempire i silenzi.
Il fatto è che qualcuno ci aveva detto: “La scuola mi piace, ma il bambino non lo iscrivo perché non è una vera scuola, con una sola classe.”
Noi non ci avevamo pensato mai: era naturale che si partisse da una classe e che poi si andasse avanti, anno dopo anno. Ma quell’affermazione, così perentoria, ci faceva talmente male che per noi era ormai una questione di principio: riempire le ore con tutto quello che ci fosse di più bello.
Ci eravamo riusciti, anche se, alla fine, non ce ne sarebbe stato poi tanto bisogno: c’erano già i bambini e le maestre. Nient’altro serviva di più.
Sta di fatto che, l’ultimo giorno di scuola, mi affaccio alla porta della I A e, tutta allegra, chiedo ai bambini: “Allora siete contenti? Oggi iniziano le vacanze!” e loro soppesano straniti il mio entusiasmo fuori luogo. Io mi sarei già sentita sufficientemente in imbarazzo così ma, come se non bastasse, B. mi guarda e scuote la testa con gli occhi lucidi e uno sguardo triste di disapprovazione.
Gli sguardi tristi di disapprovazione dei bambini sono tra le armi più potenti al mondo: ti trafiggono dritto lì, al centro del cuore, liberando tutto quello che eri riuscita a trattenere e nascondere in anni e anni di malcelata maturità e convenzioni sociali.
In un attimo, mi ha colpito la certezza che nei nostri primi nove mesi di scuola fossimo riusciti ad andare nella direzione giusta, che davvero quella stava diventando la scuola che volevamo, anche se questo significava avere bimbi tristi nel mese di giugno, perché per un po’ non avrebbero più visto i compagni e le maestre, vissuto i progetti e le risate.
Ed ecco che, alla fine, ho pianto un po’ anche io.
Oggi abbiamo salutato tre classi e non più una soltanto, ma quella tristezza ormai torna sempre a galla l’ultimo giorno di scuola ed è come una crepa da cui entra la luce e che ci ricorda dove vogliamo andare.
Divertitevi più che potete, a settembre ci rivediamo.

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