In questi giorni, molti ci chiedono quali strategie ha messo in atto la scuola per sopperire all’emergenza della forzata chiusura della stessa, al fine di contenere la diffusione del COVID-19.

È una risposta difficile da dare, non perché la scuola non abbia, di fatto, reagito, quanto perché sono coinvolti moltissimi ambiti, da quello più prettamente pratico-gestionale a quello emotivo.

Quando, a fine febbraio, abbiamo sanificato i locali per quella che doveva essere un’imminente riapertura, le maestre ne hanno approfittato per sistemare il materiale didattico, togliere le decorazioni di Carnevale e allestire di nuovo le aule. Le porte si sono popolate di farfalle, uccellini, prati fioriti; dentro di noi avevamo forse bisogno di primavera, abbiamo fatto un balzo in avanti, quasi saltando l’ultima parte della stagione, a piè pari.

La notizia della prosecuzione della chiusura è stata una doccia fredda, anche se ce n’era già il sentore nell’aria. E qui arriva primo step. Perché entrare in una scuola chiusa quando dovrebbe essere aperta, non è come entrarci d’estate; per chi ci lavora, è uno scenario apocalittico, anche se è pulita e splendente e le porte sono decorate di nuovo. Anzi, forse ancora di più proprio per questo: perché è pronta ad accogliere, ma non lo può fare.

Come prima cosa, raduniamo tutto il materiale che può essere utile ai bambini e cerchiamo il modo – più “salutare” possibile – di farlo avere ai genitori, poi ci fermiamo per fare il punto. Riflettiamo su quello che possiamo fare di concreto, perché la scuola deve andare avanti nonostante tutto e non è possibile immaginare il contrario. Questo il secondo step, in cui capiamo che cosa sono, davvero, gli alunni per le maestre.

Ci attiviamo per aprire immediatamente il registro elettronico – in precedenza ad uso esclusivo interno – anche ai genitori, in modo da avere la possibilità di caricare file audio, video, compiti.

Diamo per scontato che fare video-lezioni su singoli argomenti da caricare online sia la cosa più semplice, ma le maestre non sono completamente d’accordo. Ci guardano stupite. “Io ho bisogno di vedere i bambini” dice la prima. “Come faccio a fare lezione senza partire da loro?” domanda una seconda.
Ci accorgiamo che c’è un ostacolo che non avevamo previsto. Non riusciamo a vederlo subito, ma poi capiamo: le maestre senza alunni sono come musicisti senza strumento. Riescono solo ad immaginare la musica, ma non a produrla.
Va bene allora, aggiungiamo anche le lezioni in diretta, in video conferenza. Ma noi siamo una scuola primaria e i bambini non possono connettersi da soli, avranno sempre bisogno di qualcuno che li aiuti, di un genitore che li assista. Stiamo chiedendo troppo alle famiglie?

Terzo step. La risposta è: no, le famiglie ne sono felici. La reazione è positiva ed entusiasta. Anche i genitori hanno bisogno della scuola e forse questa emergenza è riuscita a saldare quel rapporto scuola-famiglia, come il Miur auspicava che fosse. La scuola è e deve continuare ad essere un punto di riferimento.

Vengono così attivate tutte le alternative discusse: i docenti caricano, file audio, compiti, video sul registro elettronico e, a loro volta, gli alunni postano i compiti svolti, per la correzione, ma non manca mai anche un disegno, per l’insegnante. Di solito si tratta di cuori, perché è così che sono i bambini: tutta pancia, tutto amore.

E poi ci sono le videoconferenze, divise per classe, in cui maestre e maestri fanno lezione e gli alunni interagiscono, fanno domande, imparano, proprio come prima. Tutti i giorni, almeno uno/due collegamenti per ogni classe, perché il nostro programma è bilingue e non possiamo permetterci di rimanere indietro con l’inglese.

A volte la lezione termina con un: “Maestra, ma quando ci rivediamo?” e quella è la domanda più difficile alla quale rispondere. La maestra caccia indietro una lacrima, sfodera il suo migliore sorriso e risponde: “Presto, tesoro.”

 

BEST Asti